sabato 4 settembre 2010

vortici ed emisferi

crampo all'intestino a segnare che forse non è cambiato nulla
o forse è tutto diverso
piango lacrime più ipocrite a piangere qualcuno che si è fatto impiccare dalle sue stesse interiora, io che mi macero nei sensi di colpa per un foglio che non riesco a macchiare di inchiostro putrefatto
sola dentro una stanza ed anche fosse per sfiorarmi con una mano non toglie nulla al baratro di quanto mi manchi una vita in collettivo, di quanto invece rimbombi nello squallore una vita fatta di corsi in piscina con i buoni caf e dieci ore di lavoro di cui nemmeno rivendico uno sporco avanzo di panettone fuori stagione. forse l'atmosfera rarefatta di sorrisi infedelmente vasti mi da i brividi e mi fa sboccare più non quando faccia una striscia grisiccia che rifiuto ma sbianchisce gli zigomi appuntiti di chi mi sta di fronte su un divano sgualcito dai peli da cane.
non prendo a pugni il pc perchè altrimenti non riuscirei più a scrivere, ma il mio stomaco si blocca attorcigliato come uno strofinaccio sporco e sudicio. uno scarico del lavandino che si importa il nero delle mie mani sempre nello stesso senso, perchè se non sono capace a cambiare di bled, figuriamoci di continente! non mi bastando quattro robanomani squattrinati attorno, rivoglio la casa infestata di pulci e defonce, di embrouilles e le calanques non troppo distanti da poter ammirare i pesci colorati galleggiando nell'alcol (e rivedere un tale sei mesi dopo neanche ballando tristemente della fredda cumbia). e mi chiedono se ho figli e mi chiedo se ne avrò mai, nati attraverso un anello che mi ingombra la vagina. devo provare a masturbarmi al suo dei truce anche se non sono loro nonna in un bosco (e non ho un poster di vasco).
nulla è cambiato nella facile autoaccusa di una responsabile insensata, divoro passiflora e tiglio sapendo che fanno un cazzo alle mie trippe arrabbiate manco se me li facessi in vena con una spada da cavallo.

venerdì 16 luglio 2010

diacronia

fericamente, è ricomparso il vecchio blog testimone della mia grafomania.
non mi rispecchio più se non marginalmente nelle lamentele e nelle speranze fosche di quattro anni fa, ma non riesco a resistere all'incontenibile impulso di riproporre uno scritto che mi ricorda emozioni e felicità per essere riuscita a farcela (a partire -anche se ora sono qua-)

22 novembre 2006 00:42

piovono foglie
e mi sgonfio in un'illusione di panna montata
troppo lucida anche per guidare, con la nebbia che mi attorciglia ed ho voglia solo di chiudere gli occhi
costruisco ed abbatto, ma qualcosa resta, macerie che non vorrei essere parte di un castello in aria
sottile lama psicologica con cui rischiare di ferirsi, perchè respingere non vuole dire di no. ma forse è più facile risolvere un rebus in latino che tradurlo in un sì
sogni che giocano a shangai con la realtà, facendone un mèlange paradossalmente verosimile, ma dalle midolla inquietanti. vuol proprio dire che devo imparare a (lasciare) perdere.

ed al processo tra me e l'alcol, alla sbarra, l'imputato perdente sono io, anche se la pena inflittami mi evita di vagare sull'asfalto bagnato del mattino su uno stuolo di foglie marce. mi grazia dal fermarmi a pagare un obolo per un mandarino da ingurgitare, sentendosi un mare di occhi scuri che al rallentatore si voltano verso di me. ma le ciglia sono comunque da appiccicare alle palpebre, anche se la testa non fa giravolte a mia insaputa. e su una panchina incisa di un parco, non scanso i piccioni che sembrano Antonov in impicchiata.
le apparenze tradiscono, perchè una sigaretta ed un accendino in tasca non vogliono dire che fumo, e così se tolgo una mano dai miei fianchi è solo perchè ho paura che non piacciano, non perchè non mi piace.



desconectate

31 luglio 2006 23:58

sveglia frastornata tra residui di alcol e thc che ancora vagano nel sangue
lavoro alienante ed inutile, come al solito, non fosse per quel libretto alla posta che spero mi liberi al più presto
fornellini senza gas e valigie ancora da riempire, mentre io sono qui, per l'ennesima volta a scrivere piuttosto che accingermi a piegare le magliette ancora sporche.
più chili in libri che non in tshirt, ma mica sono alessia, io.
scarico gli ultimi mp3 per sentirmi a casa anche su un aereo lowcost, temendo di dover rimpiangere la città deserta
insoddisfazione latente che non mi illudo venga colmata, ma spero tanto ben affossata tra notti vissute e albe inaspettate, anche se penso al trauma di dover tornare a condividere 60 mq con i miei
promesso, tra cinque minuti mollo la connessione e vado in cucina per ammucchiare le cose utili, stando attenta non dimenticarmene nessuna
l'estate l'ho sempre attesa con quell'aura magica, ora non lo so più, ma il caldo mi piace, anche se davvero non so cosa aspettarmi, voglio tornare a nogaro, en france tanto per cambiare, tra i miei parenti che ho paura di veder segnati da un inesorabile tempo che passa e graffia quell'equilibrio precario del va tutto bene
la realtà è che ho paura di settembre, di tornare e rivedere scorrere davanti ai miei occhi un film già visto, ammuffito e stantio, ripetuto cambiando solamente le sfumature
ho paura dei cambiamenti, certe volte, ma mi angoscia l'immobilità, ho tanta paura che rimanga immutato tutto cià che non va e quello che funzioni si trasformi senza che io possa farci nulla
forse è un retaggio dell'estate scorsa, così diversa dalle precedenti, così satura di stanze di ospedale e prigioni
in cui ho visto mio padre attaccato ai tubi per una corsa in bicicletta, un esame crollarmi in testa, mai sola come allora, a macerare nell'angoscia
e dove mi sarei dovuta divertire, tanta rabbia per arresti insensati di amici
ma è passato anche questo, ora va meglio, anche se scorgere qualcuno al mio finaco mi è davvero difficile
è quasi mezzanotte, è quasi agosto. oh, le stelle di san lorenzo arriveranno anche quest'anno. come se cambiassero qualcosa se non quell'attimo che fiduciosi si passa a naso all'insù inseguendo un'effimera scia
non sono stanca ma mi sento un attimo spossata, a cercare di arraffare queste mosche che vorticosamente mi attorniano e paradossalmente non si lasciano avvicinare
lascerò questo post a lungo, penso, e solo per questo preferisco tagliarlo qui, sperando di poter tornare avendo ucciso. sì, l'insoddisfazione (anche se credo mi sia impossibile commettere questo omicidio).

giovedì 15 luglio 2010

inchiostro ossidato

cola secco a guarnizione di un gelato alla viola
gocce blu dense e spesse
un variegato al gusto di arsenico (se la proprietà transitiva non tradisce mme bovary) induce nausea sotterrata da determinazione ostinata.
j'assume et j'assure tatuato sulle meningi che neanche sanno più trovare, senza perdersi enll'etimologia di vacantes, il vero significato di vacanze...
sudore tra i peli ma che cola guardando i caratteri tipografici
e parlano di me

sabato 5 giugno 2010

poésie d'une imsonnie

poèsie d'une insomnie
suis-je rélou
si je te dis plein 'd bisoux?
je suis en manque de toi comme
un voleur d'une gang d'une banque
je ne suis pas soul
mais je joue à la petanque
me doutes pourris
impossibile de dormir en t'amant
insomnie cherie

giovedì 20 maggio 2010

tra la biglia di un flipper vecchio stile ed una trottola a corda mi ritrovo a non sapere dove stare
sballottata dalla mia voglia di collettivo ed il dolce oblio dell'amore in trenta metri quadrati
sospesa nel benessere devo partire tra la valeriana rosa e l'erba sempre più secca (abbandonando per il momento la malva che si fonde coi papaveri.
dovunque mi manca qualcosa, pur avando (quasi) tutto, spargo pezzi di mein un puzzle di difficile ricomposizione e se fosse che odio la solitudine più di quanto amo il collettivo? in fondo ne dubito ma non so perchè rimpiango xoffino bello lontano

domenica 21 febbraio 2010

post-accio

ascoltando "mamam quand je serais grand je veux pas etre etudiant", mi sento un po' come renaud al tg di france deux con il costardcravate a guardarsi sudaticcio intorno, ma chiedendomi se non è forse meglio essere uno studente che si mangiucchia le unghie con la consapevolezza che, anche volendo, non diventerà mai padrone di nessuno piuttosto che cracher dans leur cahier ma presentare un album svuotato di significato in prima serata nell'organo di propaganda nazionale.
angosciata con lo stomaco che si stringe attorno ai massi adiposi del mio ventre, so però che neanch'io voglio essere etudiante, privata della mia vita in un revival troppo cupo, alienando la mia autonomia a delle pagine che sottolineo, adocchiando le foglie oltre alla finestra come se fossi ai domiciliari nel posto sbagliato.
e chi crede di volermi bene per dei legami di sangue non capisce nemmeno quanto posso star male subordinata ad una situazione passata, e quanto mi graffi il fatto che, pur rivendicando maggior esperienza e conoscenza, non riesce nemmeno a capire che, dopo più di un mese che non vedo una persona con cui, anche se forse non voglio trascorrere tutta la mia vita, mi avrebbe fatto immensamente piacere stringermi forte e condividere una spirale di fumo che avrebbe lavato via qualche nuvola dalla mia testa. ma sono io l'insensibile, lontana dalle mie scelte, a non voler rispondere al dispiacere di due giovani futuri quadri per non poter trascorrere un sabato a sfoggiarsi l'un l'altro su una pista da ballo o sulle seggiole standardizzate di un ristorante anonimamente mediocre. del resto, sono io ad aver fatto la scelta sbagliata, ora ne sono praticamente sicura, anche se una fuga in uno spazio amico mi aveva quasi fatto pensare che non importava, che dovevo davvero buttarla la taglierina dicotomica. ma, benchè non marxiana ne' marxista, il conflitto e la lotta li vedo sempre li davanti ben presenti, non cambia niente l'aver hegelianamente cercato una mediazione momentanea. mi fa male, ma so che forse l'unico modo per star meglio è abbandonare oppure accelerare per riuscire a mettere tra parentesi due anni che se fossi davvero punk manco ci penserei mezzo secondo. ma sono grezza e mica è la stessa cosa.

venerdì 12 febbraio 2010

acqua dei carciofi


perplessa
amarezza
rabbia repressa
pelle d'oca e bicicletta che non va
devo studiare ma ho crampi ovunque
padroni di una casa che non sarà mai mia si ostinano a mostrare la lucidezza sporca dell'ingiustiza sociale, in bici in un quartiere tra stucco e mac
cosa ci faccio?
mi sono sbagliata di prezzo

salvare gli angoli

forse mi si potrebbe accusare, nemmeno troppo a torto, di aver troppo ascoltato le note marce di un rap truce, ma j t'assure, ce n'est pas ça qui m'empeche de dormire la nuit. e non è nemmeno l'assordante silenzio dei cristalli di neve, che, al di la d'ogni metafora riempiono una notte troppo bianca. gioco a othello aspettando una connessione che testimonia la lentezza di sinapsi in brodo borghese e sogno tesserine bianche che arrivano a sbattermi in faccia che tutto quello che avevo costruito non c'è più. soffro l'astinenza da ogni piacere, soffro l'essere sola di fronte all'opulenza inutile. mi barcameno tra desiderio di distruggere tutto ciò che mi attornia e quello di sbattere una porta e dirmi di aver imparato la lezione. rincorro perfino un affitto, senza capacitarmi poi neanche così bene della necessità di dover pagare per avere un letto. mi trovo intrappolata come una partita in cui i bianchi hanno i quattro angoli (perchè, manco a dirlo, io sono il nero) e non ho più voglia di giocare. ho voglia di uscire dal quella griglia azzurrina, far fondere tutta la neve e non posso che ricredermi sui momenti passati in una casa grande e bella, dove il meglio era la gente. ma mando affanculo ricordi e rimpianti, se la pianto metto le catene alle gomme e me ne vado. e non posso neanche più permettermi le grida dei cccp, perchè non è una formalità, studio e non vivo e no, non sto bene.

giovedì 4 febbraio 2010

in ogni caso...




tanfo di grasso di un salmone sprofondato in una coltre spessa di burro a intingere dita pallide e mai abbastanza pulite. mi fanno paura le parentesi, mi sento imprigionare in una situazione troppo vecchia, non so come capacitarmi di essere (di nuovo) finita qui. perchè studiare alla ricerca della biblioteca perfetta, dentro uno stanzino di serigrafia, le macchie di colore acrilico sul tavolo ed i vestiti appesi ai fili, leggere in una soffitta gialla col grecos a prendere le cartines e i nuer che in un modo nell'altro scorrono, sottolineare su del legno grezzo con una bottiglia di bianco e grossi fiori blu anni settanta, cercare di scrivere su una formica squallida di una tavola fin troppo spesso ingombra di qualsiasi traccia e roccia, beh, nulla ha a che vedere con il serrarmi lo stomaco di un incubo che sembra ritornare. ma il peggio è che difficilmente mi sembra possa essere stato diverso, una falsa pelle di ghepardo cangiante per dei biscotti verdi nulla ha a che vedere con la spaventosa lucidità di cui mi sento prigioniera. mi chiedo dove sono andati a finire gli ultimi due anni, cancellati dalla stessa opulenza di merda che mi pesa sulla pancia e le tempie. nemmeno riesco ad avere la forza per urlare o scappare, intrappolata dalla voglia di sboccare sul palchetto lucidato. e non ho neanche il coraggio di alzare una cornetta per sentirmi meno sola, perchè cerco di antideprimermi a suon di passiflora (e dire che ho visto gente sniffarsi antidepressori per suonarsi). non voglio la neve, ma sento il caldo soffocante di un termosifone che non riesce a scaldarmi le viscere, decisioni del cazzo, e dire che avevo sempre sostenuto che non avrei mai avuto rimorsi. o forse era rimpianti?

domenica 24 gennaio 2010

zaraf

chui zaraf, rinchiusa tra quattro mura ed un lenzuolo a striscie a guardare pessime immagini che sfilano su uno schermo, disgustata dal non sapermi allontanare da un'idea stritolante di un futuro su linea retta. ma era troppo tempo che non mi accadeva e l'avevo dimenticato, e se la sveglia ha suonato alle sei era dentro un furgone e fuori colazione sotto una bâche con il caffe pronto e la puré moussline ed un po' oppio nelle vene a calmare le courbature di un sfruttamento a cottimo. ma qui il caffè me lo preparo da me, con la macchinetta elettrica della poubelle perchè sono io ad incollarmi con chiodi e funi ad una cazzo di sedia troppo scomoda. come in commissariato attendendo l'interrogatorio, lancio occhiate alla porta ma non ce la faccio ad uscire. ed anche la geule de bois è tristemente bio, mangio orribilemente sano ed lo zenzero a irrequietermi e un bagno di tiglio ad incollarmi gli occhi e le gambe nel letto. mi faccio impanicare da un orologio che non si ferma, ma non posso manco prendermela con le lancette che non ci sono. conto le pagine e spero che finiscano, ma in fondo era meglio farlo al freddo di un capannone per assemblare un libro d'odio mosso d'amore che tanto non leggerò. ascolto truceboys avendo voglia di mandarli affanculo per ogni culo e tetta che leccano sulle loro bambine gonfiabili, ma mi limito ad aver voglia di scappare fosse anche un viaggio da fermi. vorrei fare cose che tanto non farei anche senza l'impiglio di una data, ma il far niente è forse far di più di quello che mi costringo banalmente a ripetere. e non mi resta che incazzarmi sulle frasi di uno squallido telegiornale pietista, riuscendo perfino a sentire il calore lontano di una lotta che avanza. mi immagino a torturare uno sbirro alla reservoir dogs, non potendo neanche dirgli cash quello che penso quando mi ritrovo nelle loro grinfie, polsi ammanettati e senza possibilità di spannare gli occhiali. mi faccio accompagnare da una pianta di caffé reclusa quanto me, che soffre per la mancanza di luce e calore, confinata da un vaso di plasticaccia ed una terra vuota di sostanze. et ça vous étonne encore che non abbia chicchi...

spécial dédicace a tutti gli stronzi