sabato 19 aprile 2008

eroïne: un somnifère pour enfants

succosi e caramellati
come non lo saranno mai
m'immagino i fichi fuori della finestra
brillare opachi (al grigio perla di nuvole ventose)
verde d'aprile di foglie bagnate, pioggia
che si unisce al mare
e umidità maschera lacrime sulla faccia
grigioverde non nel caffe al mattino ai neon di una piola di graniglia giallastra,
ma nel sangue tutta la giornata
ravanelli e zuppa au pistou
ne voglio di più

lunedì 7 aprile 2008

ça fait longtemps che non mi fermo per cercare di riuscire il tetris della mia testa e forse non so nemmeno più in che lingua azzardarmi...uno scritto che deficita, ma queste linee nulla hanno a che vedere con la statichezza e la standardizzazione dell'inchiostro che marcisce nei libri...et donc, quasi temessi il confronto chiaro con un pezzo di carta che parla ed urla, perchè non sono ancora finite le volte che i fogli ed i libri mi tengono prigioniera, mi costringono laddove non vorrei essere a fare quanto faccio. non ho una finestra, qualche centimetro di vetro lascia passare la luce ma non il sole, ed il tetto mi schiaccia con la faccia premuta sulle pagine che non scorro e sento il freddo delle lenti premere contro le palpebre che non riesco a tenere alzate. voglio il mare, l'orto ed i rapanelli, le fragole e gli spinaci, voglio chi mi ha detto parole che mi accarezzano, perchè per me non è un errore se chiudo gli occhi e penso a te, voglio il "mio" squat, dove non senta il bisogno di inserirmi -e piegarmi- a reticoli che esistono da decenni e mesi, dove una stanza di colori pastello, ordinata e perfetta accanto a chi ruba la distro per la robba, ordine e leggerezza che puzzano di bolla.
e mio fratello che grandisce e capisce, fumo in fumo, l'ingegnera ingenua che passa a bere un thè
non voglio partire per non pensare, ma per poterlo fare senza scheletri che emergono dalle parole sparse, senza obblighi che mi invischiano e con qualcuno che mi abbracci forte, vorrei partire subito e mi sento i piedi cementati in una melma che non si stacca.
E je ne sais pas: nous voulons tout strizza l'occhio dall'alto del cornicione e mi sembra rispecchiare la congerie turbinosa di contrasti, vecchi lontani e distanti mi perseguitano nel grigio incolorabile di questa città industriale in cui anche gli operai sono morti.
mi risale impregnante la paranoia, immaginare nero e schianti, fiato che mi manca e vorrei, vorrei non dover essere partita, perchè ne ho basta di lasciarmi comandare da doveri che vorrei stringere fino a distruggere e spezzare, anche se troppo spesso mi sembrano lame di rasoi. sono stufa del livello topico dei miei scritti, ma non so come altro arginare la ricorsività se non con smettere di fingere di non rompermi i coglioni a scrivere cazzate. eppure, un anno fa non mi sentivo meglio, striturata e compressa, ma è troppo facile abitursi a star bene e liberi che qundo vedo un guinzaglio, posso anche aver deciso di mettermelo da sola, ma ha un odore putrido più acre delle catene arrugginite.