martedì 19 luglio 2011

luglio con il grigio che ti voglio...


nel mio chez moi itinerante mi rannicchio sotto le nuvole di un luglio grigiamente piovoso, nell'umidità delle gocce calde come larmes, coccolo con la lingua un gelato freddo di troppa panna. e mi rodo nel sapere que le temps perdu ne revient plus. e mi chiedo sempre di più che cos'è che sto facendo qui sotto il ticchettio incessante di una pioggiolina insidiosa. respiro e vorrei dormire, ma se corressi sarebbe meglio. per non pensare. e nuotare in una piscina fredda sotto un sole inesistente con il deltoide che punge gelido è come leccare un gelato sotto la pioggia su un gradino d'asfalto che sa di sbocco e piscio di cane, manco fossimo in estate. ho male agli occhi e alla testa, e resto impotente dal non sapermi appopriare di ciò che desidererei, che sia un Izzo che mi parla di aglio e basilico a che sia andarci in quella fottutamente bella città che descrive. perchè, proprio come adesso e tante altre volte, il più difficile è suonarci a quel campanello, senza sapere chi e se ti verrà ad aprire. e mi chiedo se è una scelta consapevole quella di preferirci una solitudine umidiccia, fatta di grasso sulle mani dell'incapacità di saper svitare un bullone. e se la meccanica non fosse nient'altro che una triste metafora di questo periodo in cui non ne voglio sapere di guardarmi davvero e prendere delle cazzo di decisioni. e sento al telefono una voce serena che non mi rassicura per niente, ma da vado prima che arrivi la fliquette di merda!

domenica 10 luglio 2011

se edipo mi facesse una sega


sembra quasi che mi sforzi a non voler dormire, masochistico piacere nel pensare e ricordare sguardi sans-issu che mi sfiorano le dita. e quasi fossi ritornata indietro in una notte su una spiaggia troppo pietrosa, mi perdo negli occhi e nel sorriso di uno sconosciuto che mi fa rimpicciolire con lui. per rendermi conto, all'alba, che non è servito a nulla aspettare se non farmi tendere invano nel possibile dell'adrenalina ovattata, delle carezze non ricevute, dell'ennesimo castello in aria che svanisce nelle nuvole di una nottata fresca e senza stelle. e mi chiedo se sono io che mi faccio spaventare da ciò che potrebbe essere oppure, sempre io, tratteggio immagini che mi invento senza nessuna ragione di essere. e nell'ombra di una luna di plastica fosforescente mi ferisce l'invidia che non è neanche più gelosia di parole di conforto per un malessere che, in maniera egocentricamente oggettiva, mi sembra assai meno motivato del mio. ma io non riesco a parlare, che sia accanto ad un geranio che emana l'aroma chimico di un antizanzare biologico ne' tantomeno laddove devo varcare solchi che l'amarezza, la freddezza e la rigidità hanno graffiato in profondità come rebbi di una forchetta su una pelle tesa. nelle notti di pioggia e lucciole brillanti nonostante l'acqua sulle ali, avrei voluto averla anch'io una voce razionale a leccarmi le lacrime per niente, ma sono sempre restata sola con il mio tachimetro verde ondeggiante, con la mia insaziabile wanderung e troppo orgoglio opprimente. ma decidere e recidere, senza obbligatoriamente dover necessitare d'introspezione, mi ha fatto volere e volare. e mi rendo conto che sono stata bene, con gli occhi e la bocca spalancata davanti ad una ventata di iodio e tiglio. e, agghiacciantemente, ho riscoperto di aver la consapevolezza del vicolo stretto e sporco di sterco nel quale mi imbucavo con delle idee troppo rette e troppo vicine da chi mi è terribilmente distante. eppure sono qui, a farmi stritolare dalla noia dell'incomunicabilità se non in superficie, dal clivage incolmabile di due parti di una barricata diversa. e il peggio è che credono che io sia trasparente, mentre niente è stato così opaco come le mie lacrime adipose.