non mi rispecchio più se non marginalmente nelle lamentele e nelle speranze fosche di quattro anni fa, ma non riesco a resistere all'incontenibile impulso di riproporre uno scritto che mi ricorda emozioni e felicità per essere riuscita a farcela (a partire -anche se ora sono qua-)
22 novembre 2006 00:42
piovono foglie
e mi sgonfio in un'illusione di panna montata
troppo lucida anche per guidare, con la nebbia che mi attorciglia ed ho voglia solo di chiudere gli occhi
costruisco ed abbatto, ma qualcosa resta, macerie che non vorrei essere parte di un castello in aria
sottile lama psicologica con cui rischiare di ferirsi, perchè respingere non vuole dire di no. ma forse è più facile risolvere un rebus in latino che tradurlo in un sì
sogni che giocano a shangai con la realtà, facendone un mèlange paradossalmente verosimile, ma dalle midolla inquietanti. vuol proprio dire che devo imparare a (lasciare) perdere.
ed al processo tra me e l'alcol, alla sbarra, l'imputato perdente sono io, anche se la pena inflittami mi evita di vagare sull'asfalto bagnato del mattino su uno stuolo di foglie marce. mi grazia dal fermarmi a pagare un obolo per un mandarino da ingurgitare, sentendosi un mare di occhi scuri che al rallentatore si voltano verso di me. ma le ciglia sono comunque da appiccicare alle palpebre, anche se la testa non fa giravolte a mia insaputa. e su una panchina incisa di un parco, non scanso i piccioni che sembrano Antonov in impicchiata.
le apparenze tradiscono, perchè una sigaretta ed un accendino in tasca non vogliono dire che fumo, e così se tolgo una mano dai miei fianchi è solo perchè ho paura che non piacciano, non perchè non mi piace.
e mi sgonfio in un'illusione di panna montata
troppo lucida anche per guidare, con la nebbia che mi attorciglia ed ho voglia solo di chiudere gli occhi
costruisco ed abbatto, ma qualcosa resta, macerie che non vorrei essere parte di un castello in aria
sottile lama psicologica con cui rischiare di ferirsi, perchè respingere non vuole dire di no. ma forse è più facile risolvere un rebus in latino che tradurlo in un sì
sogni che giocano a shangai con la realtà, facendone un mèlange paradossalmente verosimile, ma dalle midolla inquietanti. vuol proprio dire che devo imparare a (lasciare) perdere.
ed al processo tra me e l'alcol, alla sbarra, l'imputato perdente sono io, anche se la pena inflittami mi evita di vagare sull'asfalto bagnato del mattino su uno stuolo di foglie marce. mi grazia dal fermarmi a pagare un obolo per un mandarino da ingurgitare, sentendosi un mare di occhi scuri che al rallentatore si voltano verso di me. ma le ciglia sono comunque da appiccicare alle palpebre, anche se la testa non fa giravolte a mia insaputa. e su una panchina incisa di un parco, non scanso i piccioni che sembrano Antonov in impicchiata.
le apparenze tradiscono, perchè una sigaretta ed un accendino in tasca non vogliono dire che fumo, e così se tolgo una mano dai miei fianchi è solo perchè ho paura che non piacciano, non perchè non mi piace.
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