domenica 21 febbraio 2010

post-accio

ascoltando "mamam quand je serais grand je veux pas etre etudiant", mi sento un po' come renaud al tg di france deux con il costardcravate a guardarsi sudaticcio intorno, ma chiedendomi se non è forse meglio essere uno studente che si mangiucchia le unghie con la consapevolezza che, anche volendo, non diventerà mai padrone di nessuno piuttosto che cracher dans leur cahier ma presentare un album svuotato di significato in prima serata nell'organo di propaganda nazionale.
angosciata con lo stomaco che si stringe attorno ai massi adiposi del mio ventre, so però che neanch'io voglio essere etudiante, privata della mia vita in un revival troppo cupo, alienando la mia autonomia a delle pagine che sottolineo, adocchiando le foglie oltre alla finestra come se fossi ai domiciliari nel posto sbagliato.
e chi crede di volermi bene per dei legami di sangue non capisce nemmeno quanto posso star male subordinata ad una situazione passata, e quanto mi graffi il fatto che, pur rivendicando maggior esperienza e conoscenza, non riesce nemmeno a capire che, dopo più di un mese che non vedo una persona con cui, anche se forse non voglio trascorrere tutta la mia vita, mi avrebbe fatto immensamente piacere stringermi forte e condividere una spirale di fumo che avrebbe lavato via qualche nuvola dalla mia testa. ma sono io l'insensibile, lontana dalle mie scelte, a non voler rispondere al dispiacere di due giovani futuri quadri per non poter trascorrere un sabato a sfoggiarsi l'un l'altro su una pista da ballo o sulle seggiole standardizzate di un ristorante anonimamente mediocre. del resto, sono io ad aver fatto la scelta sbagliata, ora ne sono praticamente sicura, anche se una fuga in uno spazio amico mi aveva quasi fatto pensare che non importava, che dovevo davvero buttarla la taglierina dicotomica. ma, benchè non marxiana ne' marxista, il conflitto e la lotta li vedo sempre li davanti ben presenti, non cambia niente l'aver hegelianamente cercato una mediazione momentanea. mi fa male, ma so che forse l'unico modo per star meglio è abbandonare oppure accelerare per riuscire a mettere tra parentesi due anni che se fossi davvero punk manco ci penserei mezzo secondo. ma sono grezza e mica è la stessa cosa.

venerdì 12 febbraio 2010

acqua dei carciofi


perplessa
amarezza
rabbia repressa
pelle d'oca e bicicletta che non va
devo studiare ma ho crampi ovunque
padroni di una casa che non sarà mai mia si ostinano a mostrare la lucidezza sporca dell'ingiustiza sociale, in bici in un quartiere tra stucco e mac
cosa ci faccio?
mi sono sbagliata di prezzo

salvare gli angoli

forse mi si potrebbe accusare, nemmeno troppo a torto, di aver troppo ascoltato le note marce di un rap truce, ma j t'assure, ce n'est pas ça qui m'empeche de dormire la nuit. e non è nemmeno l'assordante silenzio dei cristalli di neve, che, al di la d'ogni metafora riempiono una notte troppo bianca. gioco a othello aspettando una connessione che testimonia la lentezza di sinapsi in brodo borghese e sogno tesserine bianche che arrivano a sbattermi in faccia che tutto quello che avevo costruito non c'è più. soffro l'astinenza da ogni piacere, soffro l'essere sola di fronte all'opulenza inutile. mi barcameno tra desiderio di distruggere tutto ciò che mi attornia e quello di sbattere una porta e dirmi di aver imparato la lezione. rincorro perfino un affitto, senza capacitarmi poi neanche così bene della necessità di dover pagare per avere un letto. mi trovo intrappolata come una partita in cui i bianchi hanno i quattro angoli (perchè, manco a dirlo, io sono il nero) e non ho più voglia di giocare. ho voglia di uscire dal quella griglia azzurrina, far fondere tutta la neve e non posso che ricredermi sui momenti passati in una casa grande e bella, dove il meglio era la gente. ma mando affanculo ricordi e rimpianti, se la pianto metto le catene alle gomme e me ne vado. e non posso neanche più permettermi le grida dei cccp, perchè non è una formalità, studio e non vivo e no, non sto bene.

giovedì 4 febbraio 2010

in ogni caso...




tanfo di grasso di un salmone sprofondato in una coltre spessa di burro a intingere dita pallide e mai abbastanza pulite. mi fanno paura le parentesi, mi sento imprigionare in una situazione troppo vecchia, non so come capacitarmi di essere (di nuovo) finita qui. perchè studiare alla ricerca della biblioteca perfetta, dentro uno stanzino di serigrafia, le macchie di colore acrilico sul tavolo ed i vestiti appesi ai fili, leggere in una soffitta gialla col grecos a prendere le cartines e i nuer che in un modo nell'altro scorrono, sottolineare su del legno grezzo con una bottiglia di bianco e grossi fiori blu anni settanta, cercare di scrivere su una formica squallida di una tavola fin troppo spesso ingombra di qualsiasi traccia e roccia, beh, nulla ha a che vedere con il serrarmi lo stomaco di un incubo che sembra ritornare. ma il peggio è che difficilmente mi sembra possa essere stato diverso, una falsa pelle di ghepardo cangiante per dei biscotti verdi nulla ha a che vedere con la spaventosa lucidità di cui mi sento prigioniera. mi chiedo dove sono andati a finire gli ultimi due anni, cancellati dalla stessa opulenza di merda che mi pesa sulla pancia e le tempie. nemmeno riesco ad avere la forza per urlare o scappare, intrappolata dalla voglia di sboccare sul palchetto lucidato. e non ho neanche il coraggio di alzare una cornetta per sentirmi meno sola, perchè cerco di antideprimermi a suon di passiflora (e dire che ho visto gente sniffarsi antidepressori per suonarsi). non voglio la neve, ma sento il caldo soffocante di un termosifone che non riesce a scaldarmi le viscere, decisioni del cazzo, e dire che avevo sempre sostenuto che non avrei mai avuto rimorsi. o forse era rimpianti?