mi chiedo se mi ci voglia una terapia psicoanalitica oppure, per smettere di piangere, mi basti potermi credere non sola nella lotta à rebours contro dei mulini a vento dalle sembianze di eoliche metalliche che paiono pronte a stritolarmi nei loro ingranaggi. pesto le vecchie cicche appiccicate su un marciapiede, nel caldo relativo di una giornata i cui raggi troppo obliqui tradiscono un sole invernale, trattenendo a stento dei singhiozzi secchi al fondo della trachea. tappando con tamponi di ovatta compressa i canali lacrimali, ma sentendomi nel contempo gonfiare sinapsi, zigomi, palpebre e occhi per l'accumularsi di secrezioni oculari.
come le protesi pip, anche le mie orbite finiranno per esplodere se non riesco a far defluire la bile verso i sampietrini che stanno aspettando qualcuno a scagliarli. esposti come in uno scaffale del supermercato, vorrebbero prima vedersi scaraventati contro l'occhio triangolare dei gingilli del grande fratello, per poi far fuoriuscire potentemente la rabbia che mi tortura, invecchiata e ammuffita sotto le sembianze di rimpianti e rimorsi.
perché non so nemmeno come faccio per dimenticarmi sempre che sti fottuti ciottoli che tappezzano con rigore geometrico e imperiale le strade per le carrozze dei re e i suv dei padroni, che mi pesano sulla testa instillandomi linee rette in testa e nel corpo, posso anche estirparli dalla loro posizione. e devo pure pensarci che mica sono sempre stati lì, nel loro grigiore putrido a fare agguati a donzelle sui tacchi.
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